Con provvedimento del 7 marzo 2024 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha ingiunto ad una banca il pagamento della somma di euro 20.000,00, per aver fornito un riscontro parziale alla richiesta d’accesso ai dati personali formulata da una dipendente.
L’istanza formulata dall’interessata era volta ad ottenere l’accesso ai dati personali contenuti nel proprio fascicolo, una copia degli stessi e, in particolare, ai dati contenuti nel fascicolo del procedimento disciplinare, per conoscere, in maniera precisa, tutte le informazioni aventi ad oggetto fatti e comportamenti che hanno dato luogo alla sanzione disciplinare.
A fronte dell’istanza, la banca ha fornito un riscontro parziale e solo a seguito dell’avvio dell’istruttoria da parte dell’Autorità ha consegnato l’ulteriore documentazione contenuta nel fascicolo della dipendente, costituita dalla corrispondenza intrattenuta dalla banca con un terzo, che lamentava l’illecita comunicazione di informazioni riservate di un correntista e utilizzate dalla dipendente nell’ambito di un procedimento giudiziario.
La banca ha motivato la mancata condivisione di tale documentazione per le implicazioni che ne sarebbero derivate al diritto di difesa e alla tutela della riservatezza del terzo. Inoltre, ha rilevato la cessazione del rapporto di lavoro e il decorso del termine per l’impugnazione del provvedimento disciplinare.
Ciò premesso l’Autorità, dopo aver chiarito che il caso citato dalla banca, secondo cui il datore di lavoro non è obbligato a mettere a disposizione del lavoratore la documentazione aziendale riferita ai fatti alla base di un procedimento disciplinare, non poteva essere applicato al caso di specie, in quanto riferito a una richiesta formulata dal lavoratore nell’ambito del procedimento, ha rilevato quanto segue.
Sotto il profilo delle motivazioni alla base dell’istanza di accesso, ha rilevato che non risulta la necessità per gli interessati di indicare un motivo o una particolare esigenza per giustificare le proprie richieste di esercizio dei diritti, né risulta la possibilità in capo al Titolare di domandare i motivi della richiesta. Tale interpretazione è stata chiarita anche dall’EDPB mediante le “Linee Guida sul diritto di accesso” secondo le quali i titolari del trattamento non dovrebbero valutare perché l’interessato richieda l’accesso, ma solo cosa richieda.
Sul punto, l’Autorità ha osservato che la giurisprudenza ha in più occasioni ribadito che il diritto di accesso deriva, oltre che dalla normativa a tutela dei dati personali, dal rispetto dei principi di correttezza e buona fede che incombono sulle parti nell’ambito dello svolgimento del rapporto di lavoro, in base al quale il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale (Corte di Cass. 7 aprile 2016, n. 6775).
Quanto al formato attraverso il quale i dati devono essere resi disponibili, l’Autorità ha evidenziato che il titolare deve adottare misure appropriate per fornire all’interessato tutte le informazioni di cui agli articoli 13 e 14 e le comunicazioni di cui agli articoli da 15 a 22 relative al trattamento, in forma concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro.
Pertanto, il Titolare è tenuto a valutare in che modo le informazioni possano essere meglio comprese, per decidere se sia sufficiente fornire i dati o se occorra anche una copia dei documenti. La forma più adatta deve essere decisa caso per caso e qualora, come nel caso in esame, le informazioni possano essere meglio comprese attraverso una copia dei documenti, tale copia deve essere fornita all’interessato.